Il ritratto, già segnalato dal Brogi (1863) come opera di scuola fiorentina del XVI secolo, è assegnato da Laura Martini al pittore Santi di Tito, il quale contribuì a Firenze al superamento del tardo manierismo, in nome del recupero di un realismo di segno classicista e neo-quattrocentesco e in conformità agli orientamenti controriformistici di cui fu convinto assertore. Il dipinto poliziano infatti presenta notevoli affinità stilistiche con i ritratti di Santi di Tito, come ad esempio quelli presenti nella composizione con "Sant'Ivo protettore delle vedove e degli orfani" della Galleria Palatina e con il "Ritratto virile" attribuitogli nella Galleria degli Uffizi (P 1417), databile alla seconda metà del XVI secolo. Alla scuola di questo artista appartengono altri due dipinti esposti in questa sala del Museo, il "Ritratto di cavaliere di Santo Stefano" (cat. n. 99) e il "Ritratto di nobidonna" (cat. n. 98).