Tradizionalmente attribuita al pittore fiorentino Vincenzo Dandini, una delle personalità più interessanti e rappresentative nel panorama della pittura fiorentina del Seicento, la tela poliziana, raffigurante la regina di Numidia, moglie di Siface e poi di Massinissa, avvelenatasi per sottrarsi al disonore della prigionia romana, è stata restituita da Sandro Bellesi nel 1988 alla tarda attività di Francesco Botti, anch'egli fiorentino attivo nella seconda metà del XVII secolo e allievo di Simone Pignoni, attratto soprattutto dalla pittura di Pier Dandini e Cecco Bravo. Con quest'ultimo il Botti condivide infatti l'uso di una pennellata soffice e sfrangiata, dominata da sottili trasparenze e dalla luce mobile e spesso violenta. Vicinissima a questa composizione risulta la "Minerva", conservata nei depositi delle Gallerie Fiorentine, anch'essa ritenuta del Pignoni da Marco Chiarini, fino alla restituzione al catalogo del Botti da parte di Bellesi.