Il bel ritratto, di carattere celebrativo, variamente confuso nei vecchi inventari (1861, 1971) come l'effige di un "ciarlatano", indicato nel primo catalogo a stampa del Museo Civico (1909) come un "alchimista" e attribuito alla mano di Giusto Suttermans, è stato più esattamente identificato come un medico speziale. Lo confermano chiaramente gli oggetti rappresentati nel dipinto, gli strumenti del mestiere, un'ampolla di vetro sostenuta dalla figura nella mano destra e la iscrizione posta sulla scatola appoggiata sul tavolo. L'opera viene ricondotta da Laura Martini alla produzione del pittore fiorentino Anton Domenico Gabbiani, allievo del Suttermans e di Vincenzo Dandini, uno dei pittori più ricercati della città. Cosimo III e il Gran Principe Ferdinando de' Medici lo protessero e gli commissionarono numerose opere, soprattutto decorazioni a fresco in Palazzo Pitti, Teatro della Pergola e nella villa di Poggio a Caiano. Ultimo caposcuola della pittura fiorentina del Seicento il Gabbiani rimase fedele all'antica tradizione del disegno fiorentino, come conferma lo stile del dipinto che Laura Martini ritiene coevo alla serie di "Musici" eseguiti intorno al 1685 dopo il soggiorno veneziano per la villa di Pratolino su ordine del Gran Principe Ferdinando.